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Lezioni frontali: Danimarca vs Italia nei corsi universitari

Scopri come le lezioni universitarie cambiano tra Italia e Danimarca: approcci, interazione, valutazione e soft skill che possono sorprendere (e mettere alla prova).

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Lezioni frontali all’università: come cambia tra Danimarca e Italia? Tutto quello che nessuno ti dice davvero

Quando pensi a una lezione universitaria, hai in mente il classico scenario italiano: file di studenti, professore che spiega dal podio, tu che prendi appunti (o cerchi di stare sveglio). Ma se stai considerando un’università in Danimarca, ti conviene fermarti un attimo: il significato di “lezione frontale” cambia parecchio. Non per forza in meglio o in peggio: semplicemente, è un altro mondo.

Raccontarti queste differenze non vuol dire dirti cosa è meglio per te, ma aiutarti a evitare sorprese, frustrazioni o, peggio ancora, quell’effetto “forse mi sono infilato nel posto sbagliato”. Ecco cosa ci chiedono spesso i ragazzi che accompagnamo lungo tutto il percorso – e le risposte che avremmo tanto voluto avere anche noi, prima di partire.


Cosa vuol dire “lezione frontale” in Italia? Perché agli italiani sembra “normale”?

In Italia, la lezione frontale è ancora la regola. In pratica:

  • Il professore parla, tu ascolti (o segui su slides e libro). I momenti di dialogo sono spesso confinati agli ultimi dieci minuti o alle (poche) domande a bruciapelo.
  • Di solito sei parte di una platea gigantesca: 80, 150, anche 200 studenti.
  • La valutazione si gioca quasi tutta in uno o due esami finali da 6, 9, 12 crediti. La fortuna (o lo studio matto e disperatissimo) può fare la differenza.
  • Didattica innovativa? Dipende dal singolo. Ci sono ottimi docenti e avanguardie digitali, ma il sistema non obbliga nessuno a “cambiare” davvero metodo.
  • In compenso, il programma lo hai sempre chiaro: pochi colpi di scena, poca incertezza. La routine rassicura.

A chi piace? A chi si trova bene con indicazioni precise, ama studiare da solo, oppure deve conciliare lavoro e lezioni registrate.
Cosa manca? Poco spazio per testare “soft skills” (presentazioni, teamwork, pensiero critico), che nel mondo del lavoro pesano sempre di più.


Come si svolgono le lezioni frontali e i corsi universitari in Danimarca? Cosa aspettarsi davvero

Qui le cose si fanno interessanti. In Danimarca, la lezione frontale classica esiste ancora, ma… ha uno stile tutto suo.

  • Student-centred learning: Non esiste fare tappezzeria. Ti viene chiesto spesso un parere, o di lavorare su un mini-progetto durante la lezione.
  • Lavori in gruppo? Sempre. Il famoso Problem-Based Learning (PBL) non è uno slogan. Arrivi, e dopo due giorni ti ritrovi a lavorare con ragazzi/e che non conoscevi su problemi reali.
  • Il professore? Più coach che “guru”. Se in Italia il prof è la fonte della verità, qui il suo ruolo assomiglia più a quello di un mentore che vuole vedere fino a dove puoi arrivare tu, anche sbagliando.
  • Poca “passività”: Se ti limiti ad ascoltare, resti indietro in fretta. Qui c’è molta valutazione pratica: presentazioni, report, lavori di gruppo, piccole prove settimanali.
  • Valutazione continua: L’esame finale pesa, ma spesso incide solo al 40–60%. Il resto lo costruisci strada facendo.

E sì, anche in Danimarca alcune lezioni frontali classiche ci sono ancora — di solito per argomenti di base o a inizio corso. Ma sono più corte, intervallate da quiz online e domande alla classe.


Quanto è diverso davvero il “metodo danese” rispetto a quello italiano?

Ecco un confronto che facciamo spesso ai nostri workshop tra chi sogna di studiare in Danimarca e chi vuole rimanere in Italia:

Aspetto Italia Danimarca
Lezioni frontali/settimana 12–20 ore 6–12 ore
Dimensioni delle classi 80–250 studenti 20–60 studenti
Incidenza progetti di gruppo <10% della valutazione 30–60% della valutazione
Chi è il professore? Spiega, esamina Guida, facilita
Interazione in aula Limitata (domande a fine) Costante, spontanea
Esame finale “tutto o niente” Quasi sempre Più raro, spesso integrato con prove intermedie

Le cifre possono cambiare, ma il succo è questo: in Danimarca devi metterti in gioco, lavorare con gli altri, e imparare a esprimerti anche in inglese (o danese!).


Cosa vuol dire davvero “studiare alla danese” per un italiano? Pro e contro senza peli sulla lingua

Cosa ci piace (molto):

  • Le soft skill che chiedono le aziende (problem solving, lavoro di gruppo, public speaking) qui diventano pane quotidiano.
  • Tantissime occasioni per conoscere altri studenti, specie internazionali: il lavoro di gruppo ti costringe, letteralmente, a fare rete.
  • Niente mega-esami da 8 ore: la valutazione continua aiuta a ridurre l’ansia del “tutto in un giorno”.

Cosa può spiazzarti (o metterti in difficoltà):

  • Se non partecipi attivamente, rischi di andare fuori giri. Non puoi sparire per un semestre e recuperare tutto in due settimane.
  • L’inglese è la regola anche nei corsi “in danese”, perché ci sono sempre studenti internazionali che preferiscono parlare la lingua comune.
  • Il lavoro di gruppo è bellissimo… ma quando il gruppo non funziona, il rischio che il voto ne risenta è reale. Richiede pazienza, adattamento, a volte confronti duri.

Quanto e come sono obbligatorie le lezioni universitarie in Danimarca e Italia?

Dipende dal corso. In Danimarca, la presenza è fondamentale nei lavori di gruppo: se salti, penalizzi anche gli altri e potresti vederlo riflesso nel voto. Nei corsi teorici, però, l’obbligo spesso è più flessibile rispetto ai laboratori italiani.

Che succede se sono timido, introverso, e non intervengo mai in aula?

Onestamente: puoi anche passare lo stesso, ma farai molta più fatica. Parte del percorso (e della valutazione) è proprio quella di imparare ad aprirti e lavorare in team. Ci si abitua… ma all’inizio nessuno è un super oratore, e va bene così.

Quanto è importante il laptop? Posso “sfangarla” solo con quaderni e penne?

Un consiglio pratico: portalo sempre. I professori usano spesso piattaforme come Mentimeter, Kahoot o sistemi di condivisione file per quiz, sondaggi e collaborazioni in diretta.

Che peso ha la tesi di laurea in Danimarca rispetto all’Italia?

Qui può arrivare a valere 30 ECTS, l’equivalente di circa un semestre di lavoro. A differenza dell’Italia, spesso la tesi si collega a progetti aziendali reali, e puoi perfino lavorarci in gruppo.

Esistono ancora esami orali “vecchio stile” in Danimarca?

In alcuni casi sì, ma sono quasi sempre discussioni/presentazioni di progetti, non interrogazioni “a memoria” su ogni dettaglio del libro. Il dialogo prevale sulla performance da “saputello”.

Posso provare il PBL anche se scelgo un corso universitario più classico?

Spesso sì. Magari non sarà la formula dominante, ma la maggior parte delle università danesi ormai “mischia” lavori di gruppo e lezioni frontali, soprattutto nei corsi internazionali. Il syllabus di ogni corso lo spiega in dettaglio.


Una storia vera: “Ero terrorizzata, poi il gruppo mi ha salvata” (Lucia, 19 anni, Aarhus University)

“Al liceo non parlavo mai, troppo ansia. Al primo semestre di Business Administration in Danimarca mi sono ritrovata in un team con due danesi, un tedesco e una lituana. Dovevamo risolvere un caso reale — pure bello tosto. All’inizio ero persa, poi mi sono concentrata sulla market research. Presentare davanti ai prof mi spaventava, ma insieme ci siamo aiutati. Abbiamo preso 10 su 12, e il bello è che ora ho amici in tutta Europa. Senza quel lavoro di gruppo, sarei fuggita dopo un mese.”


Quindi in Danimarca tutto è perfetto? Oppure…?

Facciamo chiarezza: il sistema danese non è magico e non è per tutti. Se ti piace una didattica più frontale, senza troppe sorprese, forse è meglio restare in Italia o puntare prima su un exchange breve. Chi cerca una palestra per allenarsi sulle competenze “umane” invece qui trova pane per i suoi denti – ma solo a prezzo di maggiore organizzazione e tanta autonomia.

Se hai mille dubbi su quale modello si adatta davvero al tuo modo di studiare, contattaci: un nostro ex-studente passato per le stesse ansie può raccontarti per filo e per segno pro, contro, paure e dritte vere. E se la risposta sincera è “forse è meglio un’altra strada”… te lo diciamo senza problemi. Sul serio.

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