Il Problem Based Learning (PBL) nelle università danesi: è davvero il metodo giusto per te?
Hai cercato “come si studia in Danimarca” o magari ti sei imbattuto in chi racconta di studenti che passano le giornate a lavorare in gruppo invece che ad ascoltare lezioni. Se stai pensando di iscriverti all’università in Danimarca (bachelor o master), sicuramente hai sentito parlare del famoso “Problem Based Learning”. Ma cosa vuol dire davvero? Come si vive un semestre tra report, progetti e riunioni di gruppo? E soprattutto: è un metodo che ti farà crescere, o rischia di essere una trappola se ti aspettavi altro? Qui sotto trovi una guida che punta a essere il più sincera e concreta possibile: niente filtri, né promesse da venditori.
Che cosa vuol dire davvero “Problem Based Learning” nelle università danesi?
La maggior parte delle info online sul PBL sono molto teoriche o piene di buzzword. Proviamo a tradurre tutto questo in cose che toccano chi parte davvero per studiare in Danimarca.
In pratica: il Problem Based Learning significa che tutto (o quasi) il semestre ruota attorno a un progetto concreto, legato a un problema reale. Non si parte da libri e appunti già belli pronti, ma da una domanda pratica — tipo: “Come si può risparmiare energia negli edifici storici di Copenaghen?”
Che differenza c’è tra il PBL di Aalborg e quello di Roskilde University?
- Ad Aalborg University, lo chiamano “project-oriented, problem-based learning”: di solito, ogni semestre il tuo gruppo lavora su un unico grande progetto, seguito da un supervisor.
- Alla Roskilde University la sigla cambia (PPL: Problem-Oriented Project Learning) ma i concetti sono gli stessi: tantissimo lavoro di squadra, progetti da definire in autonomia, e la massima attenzione a collegare teoria e pratica.
- Per il governo danese, PBL = open debate + teamwork. In soldoni, quello che impari nasce dal confronto, non dalle “spiegazioni del professore”.
Se ti aspettavi la classica lezione con il docente che detta le slide e l’esame scritto a fine semestre… qui la musica cambia parecchio.
Cosa succede davvero in un semestre PBL? (Spoiler: non è come in Italia!)
Chi arriva dalla scuola italiana spesso rimane spiazzato. Ecco a grandi linee come si struttura un semestre PBL:
- Ti mettono (o scegli) un gruppo: di solito 4-8 persone, magari con background e nazionalità diverse.
- Il gruppo decide il problema: non sono i prof a dirti cosa fare! Devi negoziare tutto con il gruppo (e questa è già una palestra di vita).
- Kick-off con il supervisor: ve la giocate su obiettivi e metodi di ricerca; non ti darà tutto “precotto”.
- La vera fatica arriva: ricerca in biblioteca, raccolta dati, domande a imprese o enti pubblici, mille punti interrogativi…
- Report e presentazione: il progetto alla fine va “impacchettato” in un documento (anche 50-100 pagine). Poi si difende in un esame orale, spesso davanti a professori e anche partner aziendali.
- Lezioni teoriche? Sì, esistono, ma molte ruotano comunque attorno ai problemi scelti dai gruppi.
Cosa cambia rispetto all’università italiana?
Aspetto | PBL Danimarca | Università italiana “classica” |
---|---|---|
Docente | Supervisor/guida, non protagonista | Dominante, trasmette contenuti |
Valutazione | Report + esame orale di gruppo | Esame scritto/orale individuale |
Materiale di studio | Libri scelti dagli studenti | Manuale scelto dal docente |
Competenze chiave | Teamwork, project management | Analisi teorica, memorizzazione |
Rischi | Gruppi poco collaborativi, caos | Passività, paura di sbagliare |
Perché le università e le aziende puntano così tanto sul PBL?
Sembra uno slogan, ma è vero: il PBL “vende” meglio sul curriculum internazionale, perché è il modo concreto di dimostrare che sai lavorare in team, gestire imprevisti, esporti davanti ad altri e passare dalla teoria ai fatti.
I principali vantaggi segnalati dagli studenti (e dalle aziende):
- Ti abitui a cavartela da solo — nessuno ti porta per mano.
- Impari a scrivere report seri, chiari e tecnici (fondamentale se punti a lavori anche fuori dall’Italia).
- Non ti ritrovi solo con nozioni astratte: alla fine del percorso hai progetti veri da mostrare nei colloqui.
- La metodologia è riconosciuta internazionalmente: UNESCO ha assegnato ad Aalborg l’unica cattedra mondiale in PBL.
Quali sono i problemi reali del Problem Based Learning che pochi raccontano?
- Autogestione estrema: non avere programmi dettagliati può essere ansioso, soprattutto se sei abituato a direttive precise.
- Gruppi difficili: se qualcuno nel gruppo “rema contro” rischi che, per colpa sua, il progetto (e il voto) ne risenta. Sì, ci sono vie d’uscita in casi estremi, ma richiedono diplomazia e pazienza.
- Inglese accademico: serve un livello alto, soprattutto nello scritto. Il classico “inglese liceale” non basta per scrivere report o discutere davanti a una commissione.
- Bilanciare teoria e progetto: le scadenze si accavallano e rischi di trasformare la biblioteca in camera da letto.
Due testimonianze reali di chi ci è passato
Marco, Ingegneria Energetica (AAU 2022):
“ All’inizio mi sentivo lasciato a me stesso. Poi, quando ho fatto il colloquio con un’azienda che lavora sulle turbine eoliche, ho capito che volevano proprio quella mentalità: saper risolvere e spiegare problemi veri, non solo ‘ripetere’ una teoria.”
Giulia, Global Studies (RUC 2023):
“Il vero shock non è stato l’inglese, ma il dover mettere d’accordo cinque nazionalità su una semplice domanda di ricerca. Abbiamo perso due settimane, ma oggi gestisco discussioni negli stage meglio di molti colleghi con più esperienza.”
Domande frequenti sul Problem Based Learning in Danimarca
Il PBL viene usato in tutte le università danesi?
No. È il metodo principale solo ad Aalborg e Roskilde; altrove (Aarhus, SDU, CBS…) entra a fasi alterne. Prima di candidarti, controlla il syllabus del corso (oppure scrivi a noi e ti aiutiamo a interpretarlo).
Conta molto sul voto finale?
Sì, spesso tantissimo: ad Aalborg, ad esempio, il progetto può valere anche metà dei crediti annuali (30 su 60 ECTS). Ma la regola non è fissa: consultare sempre i regolamenti aggiornati per non avere brutte sorprese.
È possibile lavorare da soli?
In generale, no. Lavoro di gruppo e feedback tra pari sono pilastri del metodo. Le eccezioni (per motivi gravi e documentati) sono davvero poche.
Servono software particolari?
Spesso sì: Matlab, SPSS, AutoCAD… Le università in genere offrono licenze, ma non sempre tutto è incluso. Informati prima di partire (soprattutto se il software costa parecchio).
Il PBL “vale” anche per le aziende italiane?
Sempre di più, specie in ingegneria, IT, economia. Ma dovrai presentare i progetti (e il modo in cui hai lavorato) in modo chiaro a chi magari non conosce bene il contesto danese.
Cosa puoi fare PRIMA di partire: consigli pratici per il Problem Based Learning
- Prendi confidenza con programmi di project management (tipo Agile, Prince2 o anche solo Trello).
- Scrivi in inglese il più possibile: trova amici con cui fare scambi di correzione.
- Abituati a dare e ricevere feedback senza prendertela sul personale: sembra un dettaglio, in realtà ti salva molti mal di pancia.
- Arriva in Danimarca qualche settimana prima: imparare a muoverti in biblioteca, conoscere i campus, trovare uno spazio per stampare il report ti farà risparmiare tanto stress dopo.
Quando il PBL NON fa per te? (Meglio scoprirlo prima che tardi)
Forse non è la scelta ideale se:
- Hai bisogno di continue indicazioni e istruzioni.
- Detesti le dinamiche di gruppo, le mediazioni e la confusione che a volte si crea.
- Preferisci concentrarti su “materia e voto”, senza dover gestire mille aspetti organizzativi.
In questi casi puoi valutare corsi più “classici” (come alcuni a Copenhagen) oppure tenere presente altri paesi dove la didattica è più frontale.
Vale davvero la pena scegliere il Problem Based Learning?
Il Problem Based Learning in Danimarca è un cambiamento enorme rispetto a quanto visto nelle scuole e università italiane. Non è tutto oro: va vissuto con consapevolezza, apertura mentale e la giusta dose di umiltà. Se impari a gestirlo, può diventare la tua arma vincente. Se invece hai molti dubbi, parlarne con chi l’ha già provato (meglio se non lavora “per” le università!) aiuta a schiarirsi le idee e farsi un’idea che non si trova nei depliant.
Se vuoi davvero capire se te la puoi giocare, o trovare il corso che meglio bilancia PBL e lezioni classiche, chiedici pure: siamo una community di ex studenti (non consulenti da call center!) e possiamo metterti in contatto con chi ci è passato e dice le cose come stanno. Senza trucco. Senza filtri.
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