Studey - Studiare in Danimarca

Cultura accademica in Danimarca: approccio didattico e valutazione

Studiare in Danimarca significa meno lezioni frontali, più progetti di gruppo, valutazioni pratiche e rapporti informali coi docenti: un approccio che sfida e fa crescere davvero.

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Cultura accademica in Danimarca: cosa cambia davvero rispetto all’università in Italia?

Settembre segna spesso l’inizio di un’avventura fuori dai confini, ma chi sceglie di studiare in Danimarca si trova davanti a qualcosa che va oltre il semplice “cambio di sede”. Le regole – e pure le abitudini – sono diverse, a volte spiazzanti. Se ti stai chiedendo “Come funziona davvero l’università in Danimarca?” e cerchi risposte oneste e non confezionate da brochure: eccole qui. Pratiche, senza filtri e con qualche dritta salva ansia.

Qual è l’approccio didattico nelle università danesi? Cosa vuol dire studiare davvero “alla danese”?

Perché in Danimarca i professori non sono “professori”?

Già dai primi giorni ti accorgi che non esiste la gerarchia a cui siamo abituati in Italia. Si chiama per nome il docente (niente “professore”, né “dottore”), si chiacchiera in modo diretto e il confronto è quasi sempre orizzontale. Questo non vuol dire che puoi prenderla alla leggera: aspettati domande sincere e feedback altrettanto senza peli sulla lingua. A chi ama passare inosservato in fondo all’aula, un avviso: la partecipazione è la normalità, non l’eccezione.

Cosa significa “Problem-Based Learning” e come si studia in gruppo?

Una delle parole chiave che sentirai spesso è “Problem-Based Learning” (PBL). In pratica? Funziona così: ti assegnano un problema reale (non un capitolo del libro da imparare), formi un gruppo con altri 4-5 studenti, e siete voi a decidere come affrontarlo. Progetto, relazione scritta, presentazione orale, e spesso c’è pure un’azienda coinvolta. Non è un metodo buono per tutti: se l’idea di lavorare in gruppo ti stressa, in Danimarca questa cosa viene ripetuta spesso fino alla laurea!

Un esempio pratico?
Marco, 20 anni, di Bologna, racconta:
“Il primo semestre a Mechanical Engineering ad Aalborg ci hanno chiesto di riprogettare il sistema di ventilazione di un’azienda. Nessun manuale da seguire passo-passo, solo obiettivo: trovare una soluzione. All’inizio volevo mollare, poi mi sono reso conto che è così che si cresce: impari a fidarti (e a discutere) coi compagni, e i professori sono lì per farti ragionare, non per darti la pappa pronta.”

Quante ore si passa in aula? Che spazio ha lo studio indipendente?

Preparati a molte meno lezioni frontali rispetto all’Italia. Su 40 ore “ufficiali”, solo una ventina saranno in classe: il resto è auto-organizzazione, studio individuale e lavoro sui progetti. Nessuno ti farà l’appello ogni volta, ma se non ti sai gestire rischi di restare indietro in fretta.

Come funzionano gli esami e il sistema di valutazione universitario danese?

Che cos’è la “7-point scale” danese? Come si leggono i voti?

Dal 2007 le università danesi usano il sistema chiamato “7-point grading scale”. Non basta pensare al classico 30 e lode: qua il massimo è 12, si passa con 02. E no, non servono conversioni aritmetiche.

Voto Significato ECTS equivalente
12 Eccellente, risultato top A
10 Ottimo, qualche errore minore B
7 Buono, alcune debolezze C
4 Sufficiente con criticità D
02 Passabile, minimo per superare E
00 Non sufficiente Fx
–3 Proprio no F

Attenzione: Un 7 in Danimarca è valutato come “buono”, non aspettarti applausi come se avessi preso 27 o 28 in Italia. Il 12 è davvero raro; anche il 10 viene visto come un voto alto, e non serve essere “perfetti” per trovare lavoro (spesso conta più il progetto che la media dei voti).

Quali tipi di esami ci sono? Come si svolgono i project work?

Se pensi agli esami classici “scritti/quiz”, sappi che in Danimarca la normalità sono:

  • Esami orali: 20-30 minuti davanti a un docente – e spesso un valutatore esterno che non conosci. Di solito inizi presentando un tema, poi parte la raffica di domande. Non basta saper ripetere a memoria: devi saper collegare concetti e difendere scelte/progetti.
  • Project work di gruppo: quasi tutte le materie prevedono la consegna di un report scritto fatto in gruppo, seguito da una discussione orale. Qui emergono chi davvero ha lavorato e chi ha fatto da spettatore: se non contribuisci, il professore se ne accorge!
  • Pass/Fail: Alcuni corsi (laboratori, soft skills) finiscono con superato/non superato. Niente stress da voto numerico.

Quanti ECTS servono per laurearsi in Danimarca? E quanto pesa il carico di lavoro settimanale?

Un anno accademico sono 60 ECTS (European Credit Transfer System), corrispondenti a circa 1.650 ore di lavoro. In pratica: ogni corso vale in media 10-15 crediti, ma dietro ogni “materia” c’è spesso un progettone che si mangia settimane di tempo. Se senti che “fanno solo quattro esami l’anno”, ricorda che ogni pacchetto richiede molto più lavoro pratico e di gruppo rispetto all’Italia.

Quali errori fanno spesso gli studenti italiani nelle università danesi?

Nessuno nasce imparato, e chi parte preparato a non capirci nulla all’inizio… parte avvantaggiato 😉. Queste sono alcune delle trappole più diffuse:

  • Aspettarsi istruzioni passo-passo: in Danimarca ti dicono dove devi arrivare, non ti spiegano ogni fase.
  • Sottovalutare il lavoro di gruppo: chi non lavora viene “sgamato” nella discussione orale.
  • Voler puntare al voto massimo a tutti i costi: la cultura danese è meno ossessionata dal “cum laude”, più interessata a cosa sai fare.
  • Studiare solo per sé: in Italia si condivide poco, qui i compagni sono risorsa vera per superare i progetti (e la vita fuori dall’aula).

Come posso prepararmi al metodo di insegnamento e valutazione danese? Quali abilità servono davvero?

Prendi questi spunti come punto di partenza (vale per tutti, anche chi si sente “secchione”):

  • Impara a usare strumenti per progetti di gruppo (Teams, Miro, Slack, Git…)
  • Allena l’inglese pratico: parlare davanti ad altri sarà la regola, non l’eccezione
  • Abbi il coraggio di chiedere feedback – anche se ti sembra una domanda “stupida” (qui non ci sono domande stupide, soprattutto per i professori)
  • Organizza la settimana su 40 ore totali di impegno, fra lezioni, studio e progetti: il “fuori orario” diventa spesso più importante delle ore in classe.

Domande pratiche (FAQ) sulla cultura accademica danese

Come si converte il voto danese nella scala italiana?

Non esiste una formula fissa, anche se grossolanamente: 12 corrisponde ad A, 10 a B, 7 a C, e così via. Le equipollenze ufficiali però sono decise di caso in caso. Se devi chiedere il riconoscimento crediti in Italia, consulta SEMPRE l’ufficio internazionale della tua università.

È vero che in Danimarca si dà del tu (anzi, del nome) al professore?

Sì, è la prassi – e ci si abitua in fretta. Semplifica i rapporti, ma non porta meno rigore: il docente danese non è “amico”, ma un riferimento che ti sfida ad argomentare sempre.

Quante volte si può ripetere un esame?

In generale hai tre tentativi per esame. Se li esaurisci senza successo, servono giustificazioni serie per ottenere altri tentativi extra (diverso da ateneo ad ateneo: meglio informarsi).

Il lavoro di gruppo incide davvero sul voto?

Sì, spesso il voto del progetto è in parte condiviso, in parte individuale (più che altro grazie all’orale). Se all’esame il docente capisce che hai lavorato meno degli altri, il voto può essere diverso.

Serve la media alta per trovare lavoro in Danimarca?

Non come in Italia. I datori di lavoro danesi guardano molto ai progetti concreti, alle capacità pratiche e alle referenze, più che ai voti finali. Un portfolio fatto bene può contare molto di più della media voti.

Università danese: pro e contro del metodo “alla nordica”. Per chi è (e per chi… no)?

In sintesi, se stai cercando un modello dove la relazione è più orizzontale, si lavora tanto (sul serio) su progetti di gruppo e si viene spinti a ragionare con la propria testa… la Danimarca può essere una scelta che ti fa davvero crescere. Ma se ti immagini istruzioni dettagliate, poco lavoro in team o una laurea presa “copiando gli appunti”, rischi di non trovarti bene.

Se vuoi capire meglio se questa cultura fa per te (e non solo se riesci a “superare gli esami”), confrontati con chi ci è passato. Noi di Studey ci siamo dentro, non perché ce l’abbiamo sui depliant, ma perché la burocrazia, le ansie e anche le soddisfazioni le abbiamo vissute sulla pelle. Se hai dubbi pratici – sugli orali, sui voti o anche solo su come chiedere aiuto al prof – scrivici. Non abbiamo la bacchetta magica ma un consiglio onesto (o almeno una dritta per partire meno spaesato) quello sì, possiamo darlo.

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